Non un ‘congiunto’ qualsiasi. Piersanti era il fratello maggiore del Presidente della Repubblica. Ucciso dalla mafia nel 1980 mentre ricopriva l’incarico di Presidente della Regione Sicilia.

“Non si può dimenticare che questa democrazia, il benessere dei cittadini e le libertà conquistate sono dipesi da dei nomi e cognomi di uomini e donne che hanno fatto la Resistenza o che sono morti per mano della criminalità. Noi siamo debitori a queste persone, essere generici a me è sembrato un gesto che nell’Aula di Montecitorio non poteva essere tollerato, dobbiamo riflettere sul fatto che se dimentichiamo le cose e le persone che ci hanno preceduti forse non abbiamo un grande futuro, siamo tutti un po’ debitori”. Così il capogruppo PD alla Camera, Graziano Delrio, intervenendo a Circo Massimo su Radio Capital, parlando del termine “congiunto” usato ieri in Aula dal Premier per citare Piersanti Mattarella.

Un termine che ha fatto scattare un grido quasi liberatorio nel deputato Pd che ha voluto rimarcare, urlando quel nome, da dove veniamo e dove vogliamo andare. Un nome a cui però si sono alzati soltanto i deputati del Partito Democratico, Leu, Forza Italia e Fratelli d’Italia: come se la lotta alla mafia non riguardasse tutti (anche M5S e Lega).

“Non faccio psicanalisi al presidente del Consiglio”, ma ieri in Aula per Delrio Conte “ha usato parole generiche” con “assenze molto gravi, le cose che ha detto hanno sconcertato tutti”, così come “la poca attenzione all’Aula in cui sedeva. Anche il fatto che si definisca ‘difensore del popolo’, il popolo viene difeso dalle istituzioni repubblicane, non da lui, lui al limite le rappresenta”.

Chi è Piersanti Mattarella
Non un ‘congiunto’ qualsiasi. Piersanti era il fratello maggiore del Presidente della Repubblica. Ucciso dalla mafia nel 1980 mentre ricopriva l’incarico di Presidente della Regione Sicilia. Nati e cresciuti in una famiglia politicamente impegnata – il padre fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana e più volte ministro – non poterono non impegnarsi anche loro in prima persona nella cosa pubblica.

Piersanti cominciò diventando consigliere comunale nel periodo che oggi viene ricordato come “sacco di Palermo”, per via delle concessioni senza freni degli assessori Salvo Lima e Vito Ciancimino. Poi passò all’Assemblea regionale, dove iniziò a distinguersi per il suo approccio trasparente alla politica e le sue battaglie contro la corruzione. Verrà rieletto per due legislature e ricoprirà anche il ruolo di assessore. Poi nel 1978, l’Assemblea lo elesse presidente della regione con la più larga maggioranza di sempre, a capo di una giunta di centrosinistra e con l’appoggio esterno del PCI. Una giunta nuova, innovativa e giovane che faceva della trasparenza il proprio marchio di fabbrica.

Mattarella accentrò su di sé molte decisioni solitamente riservate agli assessorati, pretese criteri più rigidi per la nomina dei dirigenti pubblici, ordinò inchieste sulle amministrazioni locali sospettate di corruzioni e razionalizzò il funzionamento della regione. Non si tirò mai indietro nel prendere apertamente posizione contro la mafia, andando anche a Cinisi città teatro dell’uccisione di Peppino Impastato dove pronunciò un durissimo discorso contro Cosa Nostra.

Il 6 gennaio 1980, mentre stava andando a messa con la famiglia, venne ucciso a colpi di pistola, a bordo della sua Fiat 132. Inizialmente si parlò di attentato terroristico, perché ci fu la rivendicazione di un gruppo neo-fascista. Le indagini successive misero in luce che l’omicidio fu compiuto unicamente dalla mafia. Nonostante gli esecutori materiali non siano mai stati identificati con certezza, furono condannati in via definitiva come mandanti i boss mafiosi Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nené Geraci.

democratica.com - Agnese Rapicetta - 7 giugno 2018

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