Una sperimentazione che funziona.
“Io sono favorevole a prevedere strumenti per incentivare la contrattazione collettiva e aziendale per la sperimentazione della riduzione dell’orario lavorativo a parità di salario e a parità di produttività. Cosa, peraltro, già avvenuta in alcune aziende e per alcuni contratti”. Lo ha detto, nelle scorse ore, il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon.
Parole che seguono il parere positivo, dato dallo stesso Durigon per conto del governo, ad un punto che trattava questo tema nel documento a prima firma Arturo Scotto, deputato del Partito Democratico. Un’apertura giudicata “positiva” da parte della segretaria del Pd Elly Schlein: “Abbiamo la nostra proposta e siamo pronti a discuterne con le altre forze politiche”.
La proposta del Partito Democratico: “Occorre andare in una fase di sperimentazione”
In Commissione lavoro alla Camera sono state incardinate tre proposte: una del Pd, una dei Cinque Stelle e una di Verdi-Sinistra (Avs) sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. “È importante – ha detto Arturo Scotto in una recente intervista al Manifesto – il fatto che le proposte siano state incardinate alla Camera. È la prima volta che il Parlamento se ne occupa. Ci sembra la strada da percorrere. Occorre andare in direzione di una sperimentazione. Questa è una fase importante per la strutturazione di un percorso, come dimostrano molti esempi in Europa, in Francia e altrove”.
Quello dei dem è definito come “un provvedimento di sostegno della contrattazione collettiva che, nel rispetto del ruolo delle parti sociali, incentivi la sperimentazione di quelle soluzioni che contestualmente consentano incrementi della produttività e riduzione dell’orario di lavoro, a parità di retribuzione”. L’incentivo individuato in questo caso per i datori di lavoro è l’esonero del 30% dei complessivi contributi previdenziali dovuti (esclusi i premi e quelli spettanti all’Inail) per il periodo di sperimentazione. Percentuale che salirebbe al 40% nel caso l’oggetto della riduzione siano prestazioni lavorative “usuranti o gravose”.
Le aziende italiane che hanno già iniziato la fase di sperimentazione: risultati incoraggianti
La cosiddetta settimana corta è già realtà in alcune aziende italiane che hanno deciso autonomamente di iniziare la fase di sperimentazione. Grazie ad un articolo pubblicato recentemente sul Post è già possibile fare una mappatura di queste realtà e tracciare un primo bilancio, che, benché abbia un valore circoscritto, può essere definito “positivo e incoraggiante”.
Una delle prime grandi aziende che in Italia hanno adottato la settimana corta è stata la banca Intesa Sanpaolo, ad inizio 2023. Parliamo di una delle società private con più dipendenti in Italia, quasi 72mila. Dipendenti che, da gennaio dello scorso anno, possono chiedere di condensare l’orario di lavoro in quattro giorni, per poi avere una giorno libero a scelta. Normalmente si lavora 7,5 ore al giorno per cinque giorni, per un totale di 37,5 ore, ma si può anche chiedere di lavorare 9 ore al giorno per 4 giorni alla settimana, per un totale di 36 ore. Allo stesso tempo i dipendenti possono scegliere il loro orario di ingresso in una fascia oraria dalle 7 alle 10 del mattino, e hanno a disposizione 120 giorni di smart working all’anno, che sono quasi la metà di tutti i giorni lavorativi.
Anche l’azienda di automobili Lamborghini – con sede in Italia ma di proprietà del gruppo tedesco Volkswagen – ha annunciato a dicembre del 2023 di aver trovato un accordo con i sindacati per introdurre in via sperimentale la settimana di quattro giorni per i lavoratori delle sue fabbriche. Partirà alla fine del 2024.
La settimana lavorativa corta è stata introdotta da gennaio in via sperimentale anche in un’importante società pubblica, SACE, che si occupa di assicurazioni e credito per le imprese che esportano all’estero ed è controllata dal ministero dell’Economia. Da gennaio è stata data loro la possibilità di scegliere se lavorare quattro giorni a settimana invece di cinque, per un totale di 36 ore complessive anziché 37. Il giorno di riposo è a scelta, e va concordato con i colleghi per tenere conto delle esigenze organizzative. Sono stati eliminati anche gli obblighi di timbratura in entrata e in uscita per tutti i livelli contrattuali, per cui ogni dipendente è libero di distribuirsi il lavoro nell’orario che preferisce. In più non ci sono limiti allo smart working.
Cosa dice il più grande studio fatto finora sull’argomento
Come riferisce sempre il Post, all’inizio del 2023 sono stati pubblicati i risultati del più ampio studio al mondo fatto sull’argomento, almeno fin qui: ha riguardato 2.900 dipendenti di 61 aziende di vari settori nel Regno Unito, e si è svolto nell’arco di sei mesi tra giugno e dicembre 2022. Lo studio suggerisce che la riduzione dell’orario di lavoro diminuisca lo stress di chi lavora e non intacchi la produttività delle aziende, e che anzi in alcuni casi la aumenti. La maggior parte delle aziende coinvolte ha deciso di non tornare alla settimana lavorativa di cinque giorni.