Campagna elettorale. Due parole per definire un tumultuoso periodo fatto di corse, di fogli, di telefonate, di messaggi, di cose importanti e di cose futili, di giornate intere passate a lavorare e di manifestazioni pubbliche più o meno grandi, più o meno partecipate. Un lungo, in questo caso, si fa per dire, momento in cui si devono esprimere idee e progetti nel modo migliore e più convincente, sperando di fare breccia nella mente degli elettori. Come ogni momento elettorale anche questa campagna elettorale è finita, con il risultato che ben conosciamo. Ci hanno detto che usciamo da questo voto sconfitti, demoralizzati, penalizzati, morti perfino con tutto da ricostruire, tutto da rifare colpevoli di aver sbagliato su tutta la linea. Certo la fierezza dell’opposizione è poca cosa in politica, comunque siamo, con 38 parlamentari, il secondo gruppo parlamentare e questo è un dato di fatto lampante che, noi per primi, non dobbiamo sottovalutare. Rappresentiamo una parte di paese, non tutto, ma a conti fatti nemmeno gli altri.
Chissà perché, dal Partito Democratico, ci si aspetta una qualche capacità intrinseca di analisi e risoluzione dei problemi; sembra si metta in atto quell’atteggiamento che si ha con i genitori, li si accusa di essere sbagliati e di essere inconcludenti ma allo stesso tempo ci si aspetta che siano gli stessi a concludere qualcosa, a progettare, a proiettare verso il futuro l’intera famiglia.
Forse a questo PD manca quella pragmaticità tipica dei nonni artigiani che, avendo fatto tesoro delle proprie esperienze di vita, tramandano ai nipoti l’amore per il senso del “saper fare” prima ancora che le tecniche di costruzione in un confronto e dialogo continuo. Al pari della sconfitta vi è la necessità di rimettere in asse alcune questioni necessarie alla sopravvivenza stessa del Partito.
Il Congresso, momento generativo e rigenerante deve essere fatto, presto, in modo aperto e plurale, senza che si trasformi in una gogna per qualcuno e in una chiacchera da bar per qualcun altro. Il Congresso ha il compito di mettere insieme punti di forza e criticità di un confronto obbiettivo che non sancisca, in nessun modo, la nascita di “altri PD”.
Ci avviamo alla nuova campagna elettorale per le regionali e, si sono già avvistate all’orizzonte navi corsare pronte ad assaltare un centro sinistra frastagliato e fragile ma è proprio nell’ora della delusione che bisogna unirsi, fermarsi a pensare al senso di idee e proposte, al valore del nostro stare insieme, alla vita dei Circoli, alla volontà di partecipazione delle persone, all’inclusione di nuove persone all’interno del partito. L’identità non è una cosa che si può dare per assodata non è una certezza che si ottiene un giorno e che si mantiene per sempre l’idea, va nutrita e vissuta deve essere parte integrante del proprio percorso di crescita personale è di comunità che non può prescindere dal contatto dal dialogo con gli altri.
Concludo queste righe con un invito: partecipate alla vita del Circolo per capirne il senso e le volontà e anche per cambiarlo dall’interno mettendo ogni giorno un mattoncino in più rimettendo al centro, senza egoismi, il Partito e le persone che credono in questo progetto.
All’interno di una dialettica comunitaria è possibile discutere della stessa dialettica, è possibile tenere fermo e saldo il rispetto per tutti e una volontà granitica di portare avanti molti obiettivi: esistere, desiderare, progettare ma anche agire uscendo dalla logica della continua e logorante mediazione a tutti i costi con la nostra identità in nome della responsabilità.
Cristina Ursino