Il caso di Biella ha riacceso i riflettori sul tema delle armi nel nostro Paese.
Sappiamo che storicamente la destra italiana è sempre stata affascinata da un’Italia armata che possa difendersi da sola.
Non sono mancate le dichiarazioni in tal senso da parte di Matteo Salvini nel tempo. Durante la campagna per le elezioni 2018, per esempio, aveva partecipato all’Hit Show di Vicenza, la più importante fiera di armi del nostro Paese, e aveva firmato un documento con cui si impegnava “sul suo onore” a scrivere la legge sulla legittima difesa a quattro mani con la lobby. Aveva anche dichiarato di coinvolgere Comitato e altre associazioni, come Assoarmieri e Conarma, “ogni qual volta fossero in discussione provvedimenti” in materia. Ma non solo: ad aprile 2017 ospite a Omnibus su La7, Salvini aveva promosso l’idea di introdurre sei mesi di servizio civile in Italia “anche per imparare l’uso delle armi”. Un anno prima, a maggio 2016, durante un’intervista con La Zanzara su Rete 4, Salvini aveva detto che era necessario introdurre quattro mesi di servizio militare obbligatorio in Italia “così impariamo a sparare”. Nel 2019 poi circa 70 deputati della Lega hanno firmato una proposta di legge (la prima firma è della deputata Vanessa Cattoi) per “rendere più agevole l’iter per acquistare un’arma destinata alla difesa personale”. Come? “Aumentando da 7,5 a 15 joule il discrimine tra le armi comuni da sparo e quelle per le quali non è necessario il porto d’armi”.
Insomma c’è un’Italia (minoritaria) che sogna pistole e fucili sul modello americano che, però, sappiamo non funziona, e c’è un’Italia che questo modello lo rifiuta totalmente.
Stando a un’indagine realizzata dall’Euripes per il ministero dell’Interno dell’aprile 2023, “in Italia non esiste una cultura delle armi, se non in ambienti particolari e minoritari”. Il 44,8% degli italiani, infatti, ritiene un pericolo il possesso di armi da fuoco, il 19,2% ritiene che sia un diritto da riservare solo a categorie particolari esposte a rischi e il 18,4% pensa, invece, che rappresenti la possibilità per qualunque cittadino di difendersi dai malintenzionati. Gli intervistati rivelano per la netta maggioranza una scarsa propensione ad acquistare un’arma per autodifesa: poco più di un intervistato su 4 (27,1%) afferma che lo farebbe, il 72,9%, al contrario, non lo farebbe. I risultati, insomma, confermano una diffusa resistenza culturale nel nostro Paese al possesso di armi.
Quante armi ci sono in Italia
Secondo gli ultimi dati ufficiali diffusi dal Viminale nel 2022, le licenze di porto d’armi nel Paese sono 1.237.912, di cui 12.008 per difesa personale. Non è detto che ad ogni licenza corrisponda solo e soltanto un’arma e in più non si può tener conto del mercato illegale e clandestino, per questo si stima che il numero di pistole e fucili in Italia possa superare anche le 10 milioni di unità. Secondo la ricerca dell’associazione internazionale ‘Small arms survey’ di Ginevra le armi presenti sul territorio italiano già nel 2017 erano 8,6 milioni. Analizzando i numeri ufficiali pubblicati dal ministero dell’Interno nel 2022, la maggior parte dei porti d’arma che vengono concessi (oltre 1 milione) sono per la caccia (609.527) o il tiro a volo (574.842), seguiti da quelli per le guardie giurate (40.961 per arma corta e 574 per arma lunga).
Le licenze per la difesa personale – che vanno rinnovate di anno in anno – sono 11.785 per le pistole e 223 per i fucili. Numeri, questi ultimi, che registrano un calo costante di anno in anno. Basti pensare che nel 2002 i porti d’arma per la difesa personale erano il quadruplo: 45.618 per le pistole e 1.938 per i fucili. Sono in aumento, invece, le licenze per il tiro a volo e per le guardie giurate.
Anche se si è in possesso del porto d’armi, la legge ne vieta il trasporto in condizioni particolari, come manifestazioni o riunioni pubbliche, con il rischio della multa o, nei casi più gravi, dell’arresto.